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incontro con lo scrittore e giornalista

FRANCO ARMINIO

intervengono ENZO PIPERNO e IBRA MBACKE FALL

SABATO 6 DICEMBRE 2014, ore 18

Cripte di Santa Maria del Colle, ore 18 – Mormanno

IL CALABRONE in collaborazione con Cittadini Attivi Mormanno

Oggi SABATO 6 DICEMBRE, giornata dell’incontro con Franco Arminio alle 18 nelle Cripte della Cattedrale di Mormanno, riportiamo qualche breve estratto da uno dei libri più conosciuti di Arminio. Buona lettura e vi aspettiamo questo pomeriggio.

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VENTO FORTE TRA LACEDONIA E CANDELA. Esercizi di Paesologia.

“La paesologia è una scienza che studia i paesi, ma è una scienza strana a cui si dedica un solo scienziato. Una scienza che è il frutto di un banale ripiego: noon potendo più vivere nel suo paese ed essendo incapace di lasciarlo, si è deciso a studiarlo”.

“La paesologia è una forma d’attenzione. E’ uno sguardo lento, dilatato, verso queste creature che per secoli sono rimaste identiche a se stesse e ora sono in fuga dalla loro forma”

“Quasi ogni mattina vado a trovare qualche paese come si va a trovare un vecchio zio, vado a vedere che facia ha, a che punto è la sua malattia  o la sua salute. Vado per vedere un paese ma alla fine è il paese che mi vede, mi dice qualcosa di me che non sa dirmi nessuno.”

“La sera che ci fu il terremoto io stavo bene. Mi piaceva tutta quella gente per strada, tutti che si guardavano come se ognuno fosse una cosa preziosa”.

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“Per un perverso ribaltamento la gente abita luoghi  (le metropoli) che dovrebbero essere solo usati per fare commissioni e vacanze e va in vacanza in luoghi che invece dovrebbero essere usati per abitare tutti i giorni. I più avveduti sono coloro che stanno vicino alla natura: chi abita in montagna pare che abbia nello sguardo un senso si gratitudine verso il mondo, non ha le arroganze cittadine. Chi coltiva la terra esprime già un amore , e può ancora credere in un mondo sano e salvo. Per l’esperienza che ho dei miei paesi l’ipocrisia è assai meno frequente rispetto al capoluogo. E poi nei paesi è più chiaro il corso delle cose, se ne coglie l’inizio, lo svolgimento e la fine”.

 

3 DICEMBRE 2014

Oggi vi segnaliamo un articolo di Franco Arminio pubblicato sul Fatto Quotidiano a seguito delle elezioni regionali, che parla delle Italie e dei Sud, della forza di questi territori e delle loro potenzialità. Abbiamo mutuato da questo articolo il titolo del nostro incontro.

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ERESIE MERIDIONALI

di Franco Arminio / Il Fatto Quotidiano / 25 novembre 2014

Negli ultimi anni tutti i governi hanno fotto poco e male per il Sud. Non solo hanno spostato altrove le risorse destinate al Mezzogiorno, ma non hanno avuto nessuna vera idea per governare in maniera intelligente i tanti Sud che abbiamo nel nostro Paese.

L’idea ossessiva è che bisogna rimettere in moto la crescita, e poi, una volta che riparte la locomotiva Italia, il Sud non può che accodarsi. Si tratta di un’idea che da troppo tempo viene smentita dalla realtà dei fatti. Non si può considerare il Sud come un semplice vagone da agganciare a una motrice. C’è bisogno di politiche costruite sui singoli territori. La democrazia locale e quella centrale devono lavorare assieme: intimità e distanza. Un lavoro che possa incrociare gli interessi di chi vive in un luogo con gli interessi generali della Nazione.

La società meridionale purtroppo è ferma al lamento. Chi vota Pd dovrebbe chiedere al Governo come si fa a stanziare il 98% dei soldi per i treni al Nord. Chi vota Pd dovrebbe chiedere al Governo perché non fa davvero un piano straordinario per il Sud, un piano che riduca il ruolo delle mafie ed esalti le tante energie positive che ci sono nei diversi territori. Chi vota Pd dovrebbe chiedere al governo perché non usare il flusso dell’immigrazione per dare nuova linfa al Sud interno: terre e case vuote che diventano sempre più vuote.

Mentre la politica da discount di Salvini fa il pieno di voti, la gran parte dei politici e  intellettuali meridionali cercano di posizionarsi in modo da ricavare qualcosa per sé e per la propria famiglia. Il familismo amorale è ovunque e continua a dominare la vita sociale delle regioni più povere. Nei paesi non si eleggono le persone migliori, ma quelle che sembrano più disponibili all’intrallazzo. Ed è impressionante anche il silenzio e la rassegnazione dei ragazzi meridionali. La lotta sarebbe la sola strada per ottenere il rispetto dei propri diritti, ma non si lotta da nessuna parte. Ci si applica di più per mantenere una certa fedeltà al disimpegno dai propri doveri.

Ovviamente non è così in tutte le zone. La Puglia non è la Calabria, Martina Franca non è Napoli, Matera non è Marsala. E forse bisognerebbe partire proprio dal modello di Sud che s’intravede a Matera: scrupolo e utopia, la forza del passato e la passione del futuro.

Il Sud ha straordinari pensatori politici. Franco Cassano, Piero Bevilacqua, Isaia Sales, solo per citarne alcuni. Forse sarebbe il caso che loro ed altri si mettessero insieme per spiegare al Governo cos’è il Sud oggi, io direi perfino dov’è. Ho l’impressione che Renzi abbia un’idea vaghissima del Mezzogiorno. A lui piace parlare con Marchionne e Draghi più che con Fabrizio Barca. Quando scende sotto Roma sembra a disagio. La sua politica alla fine vuole globalizzare l’Italia, Sud compreso, senza capire che la forza del Sud è proprio nel fatto che la globalizzazione non ha attecchito.

Bisogna spiegare a Renzi e ai suoi sostenitori che la specificità dell’Italia è la sua disunità, la sua diversità. Matera oggi può essere considerata nello stesso tempo un paese lucano e una città europea, a Matera c’è un sapore che non c’è a Pescara. E allora, oltre che finanziare in maniera equa i diversi territori italiani, occorre finanziarli per far luccicare la loro specificità, non per omologarli. Il Nord, se vuole, si affidi pure a Salvini. A noi piacerebbe un Sud eretico (erede di  Giambattista Vico, di Giordano Bruno), un  Sud insofferente ai tamburi ciarlieri dell’attualità, un Sud che sa costruire il suo futuro senza accettare i luoghi comuni da cui è sommerso.

Il Blog di Franco Arminio

https://comunitaprovvisorie.wordpress.com/

In occasione dell’incontro con lo scrittore e giornalista campano, ci proponiamo di segnalare da oggi fino a sabato 6 dicembre, una serie di articoli e saggi che facciano da cornice ed approfondimento alle tematiche che vorremmo discutere con Franco Arminio. Iniziamo con la prima parte di un bellissimo articolo di qualche anno fa di Tonino Perna sulla “Valorizzazione della montagna”.

 

 

Valorizzazione della montagna e riequilibrio territoriale.

di Tonino Perna // pubblicato sulla rivista culturale Ora locale del dicembre-febbraio 2003/2004

 

s e c o n d a  p a r t e

Per la costruzione di un futuro sostenibile e desiderabile

Per affrontare e tentare di risolvere i nodi strutturali delle Calabrie dobbiamo abbandonare il paradigma dello sviluppo, così come è stato finora concepito e perseguito. Significa abbandonare l’idea che bastino più investimenti, più risorse economiche, che la crescita economica di per sé porti a maggiore benessere per tutti, che la felicità e l’identità di una popolazione si possano identificare in base al tasso di crescita del PIL.

Compito non facile.

Tutti pensano che per combattere la disoccupazione bisogna effettuare più investimenti, non importa quali né con quale prospettiva ed utilità sociale, basta che si spendano più soldi. Eppure i dati di questi ultimi decenni ci parlano chiaramente. La crescita del PIL calabrese si è accompagnata alla crescita della disoccupazione. […]

I grandi investimenti, dalla grandi dighe interminabili alle grandi industrie nate decotte, hanno provocato più danni ambientali e sociali che benessere per i destinatari. Viviamo, infatti, in una regione dove le “macerie dello sviluppo” – come le chiama Serge Latouche – sono ben visibili in tutto il territorio.

Ed è proprio da questa visione che dovremmo ripartire immaginando un programma di ricostruzione […].

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1-    La salvaguardia dei beni comuni

Dall’acqua alle foreste, dalle tradizioni popolari alle strade, dai paesaggi agrari ai sistemi costieri, bisogna realizzare piani di recupero e salvaguardia di questi beni collettivi. L’abbandono da una parte, e i processi di privatizzazione dall’altra, stanno intaccando seriamente il nostro patrimonio collettivo che è fatto di risorse naturali, di cultura popolare, di saperi tradizionali, di paesaggi naturali. Un patrimonio inestimabile per la collettività che ne determina la qualità della vita e l’identità. […]

Per questo è importante che vadano coinvolti e valorizzati quei soggetti sociali che da anni si muovono in questa direzione. Penso alle decine di gruppi e di associazioni che lavorano sul recupero della memoria storica, dai canti alla musica popolare alle forme tradizionali dell’artigianato, alle associazioni ambientaliste ed ai centri di ricerca delle Università […] Con questi soggetti va costruita una mappa ed una strategia di recupero di questa parte rilevante del nostro patrimonio collettivo.

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2-    La manutenzione del patrimonio collettivo

In Calabria è più facile costruire nuove strade che mantenere decentemente quelle esistenti. Così come è stato più facile impiantare nuovi ospedali che fare funzionare quelli esistenti. […] Una strategia di manutenzione del patrimonio collettivo significa anche garantire alle future generazioni una qualità della vita e la disponibilità di beni collettivi. […]

3-    La responsabilità sociale

Nell’esperienza fatta come presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte […] c’è quello che abbiamo chiamato i contratti di “responsabilità sociale” che affidano, sulla base di una libera scelta, una parte del territorio ad associazioni / cooperative ecc. per raggiungere determinati obiettivi e che prevedono una parte del rimborso spese in base ai risultati raggiunti. Così in quattro anni siamo riusciti a debellare la piaga degli incendi […]. Con lo stesso criterio è stato affrontato il fardello della raccolta dei rifiuti nelle aree pic-nic, nei sentieri, nei boschi più frequentati. […]

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4-    Per il riequilibrio territoriale

Da quanto abbiamo visto il problema dello spopolamento della gran parte delle aree interne delle Calabrie è diventato una questione vitale per questa regione. […] Un patrimonio storico, culturale, identitario sta andando al macero. […]

In questa direzione abbiamo sperimentato una strategia di implementazione di attività ad alto valore aggiunto e a basso impatto ambientale che si è fondata sulla localizzazione di corsi e master di alta formazione nelle aree interne dei paesi dell’Aspromonte. […] Più difficile, ma non impossibile, è il recupero e la rivitalizzazione dei paesi scomparsi o in via di estinzione. In questo campo abbiamo avviato da poco una strategia che tende a offrire, in comodato d’uso gratuito, case e terreni abbandonati, puntando soprattutto al “bisogno di sud” che esiste nel centro nord del nostro paese. […] Tra le righe vorrei aggiungere che va bloccata la tendenza sia a vendere i borghi abbandonati a persone che passeranno al massimo un mese di vacanze, sia a creare i cosiddetti paesi-albergo nei vecchi borghi, ultima spiaggia nel becero processo di mercificazione dei nostri luoghi della memoria e dell’identità.

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5-    Una terra di accoglienza e solidarietà

Negli ultimi vent’anni del secolo scorso la Calabria ha sperimentato per la prima volta nella storia moderna un consistente, anche se ancora minoritario, processo di immigrazione. In molti casi gli immigrati ed i profughi hanno trovato in Calabria un clima umano più favorevole anche se un basso livello salariale e condizioni di lavoro più precarie che nel centro-nord del paese. Ma questa regione ha fatto registrare un caso esemplare di accoglienza che ha fatto il giro del mondo. Ci riferiamo a quanto è accaduto a Badolato nel Natale del ’97 quando la solita carretta del mare stracarica di profughi kurdi si è arenata di fronte alla marina di Badolato. Anziché essere ricacciati in mare, i profughi sono stati ospitati nelle case vuote del vecchio borgo di Badolato. […] In poco tempo i kurdi sono stati inseriti in una serie di attività produttive e, soprattutto, è nata la prima forma, almeno per il mezzogiorno, di turismo responsabile. L’anno successivo mentre l’esperienza di Badolato cominciava a scontrarsi con dinamiche interne speculative, un gruppo di giovani di Riace si avvicinò con entusiasmo a questa esperienza e decise di imitarla. […] Riace è diventato uno dei pochi luoghi, forse l’unico in Italia, vengono accolti ed inseriti nella comunità locale con grande intelligenza e sensibilità. […]

Tonino Perna è docente all’Università di Messina e (negli anni di pubblicazione dell’articolo) Presidente del Parco Nazionale d’Aspromonte

 

Valorizzazione della montagna e riequilibrio territoriale.

di Tonino Perna // pubblicato sulla rivista culturale Ora locale del dicembre-febbraio 2003/2004

 

p r i m a  p a r t e

Da molti anni sono in molti a chiedersi se c’è un futuro per questa regione. Se tanti si sono ormai rassegnati, non pochi continuano a pensare, a dibattere, a cercare le strade per costruire un progetto credibile e vincente per la Calabria, un progetto in grado di entusiasmare e mobilitare diversi soggetti sociali, di indicare un orizzonte per cui valga la pena di spendere le proprie energie.

Dalla storia contemporanea della Calabria non se ne ricavano grandi speranze. Dopo un secolo di ribellioni, di rivolte, di occupazione dei latifondi, negli anni ’70 del secolo scorso, si è spenta ogni forma di lotta sociale in Calabria, ed i calabresi sono stati più capaci di adattarsi ai poteri -interni ed esterni – che si sono succeduti nel tempo che a ribellarsi, più capaci di trovare soluzioni individuali per rispondere ai propri bisogni che di alzare la testa e, soprattutto, di pensare con la propria testa.

Sullo sfondo resta il bisogno di un grande progetto comune di società, di civiltà, che dia una risposta concreta a chi vive e vuole restare in questa terra. Un bisogno di identità collettiva e dignità del vivere e lavorare in Calabria. Anzi nelle Calabrie. Credo che dovremmo mantenere la storica distinzione tra la Calabria Citeriore e quella Ultra, perché le differenze storiche e culturali tra le due aree permangono , malgrado l’appartenenza ad un’unica istituzione regionale. Nel prendere coscienza delle diversità, nel non negarle, potremmo trovare le ragioni per un cammino comune. […]

Non si tratta di costruire l’ennesimo programma elettorale, di pensare che basti un cambio di colore politico perché il governo della Calabria risponda ai bisogni vecchi e nuovi. […] La svolta, se ci sarà un giorno in questa terra, passa attraverso un cambiamento di prospettive, di orizzonti, di visione della vita e presa di coscienza, nonché della costruzione sociale di un’identità collettiva. […]

 

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Il far west delle Calabrie

Se immaginiamo di sovrapporre le carte della distribuzione territoriale della popolazione, all’inizio e alla fine del ‘900, con una colorazione in base alla densità di popolazione […] scopriamo che tutte le aree interne della Calabria – ad eccezione del comprensorio di Cosenza e di alcuni pezzi della Calabria citeriore – si sono scolorite. Dal Pollino all’Aspromonte passando per le serre e la Sila, il tasso di spopolamento varia dal 50 fino al 90%. Anche nelle fasce pedemontane dello Ionio e del Tirreno, si registra una caduta verticale della popolazione. […]

I calabresi erano un popolo di pastori, contadini e braccianti, che hanno vissuto per più di un millennio in una terra circondata dal mare, senza sapere che cosa farsene di questo liquido salato. […] Questa è una caratteristica della Calabria che la differenzia dalle altre regioni meridionali bagnate dal mar Mediterraneo. Dal mare i calabresi non si aspettavano niente di buono e l’hanno evitato per secoli. Improvvisamente nel ‘900, soprattutto nella seconda metà del secolo, sono corsi verso le aree costiere e ed hanno usato questi territori come i pastori fanno di un pascolo abusivo: prendi più che puoi che del domani non c’è certezza. La corsa verso il mare è stato il nostro far west: la conquista di centinaia di chilometri di coste incontaminate , la cementificazione caotica e scriteriata, la rapina dei siti più belli che erano rimasti vergini per millenni.

Ma, il ‘900 segna anche, attraverso importanti opere di bonifica, la riconquista della pianura, abbandonate in gran parte fino dalla caduta dell’Impero romano. Quelle che per secoli erano lande acquitrinose , fonte perenne di malaria, sono diventate terre fertili e ricche di agrumi, grano, pescheti, ecc. Anche queste zone sono diventate, lentamente, degli attrattori della popolazione che viveva nelle aree collinari e montane, contribuendo, indirettamente, ad un ulteriore svuotamento delle aree interne.

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La redistribuzione settoriale e spaziale delle attività produttive

Sovrapponendo le carte delle attività produttive […] scopriamo che il cambiamento registratosi nelle Calabrie è stato davvero radicale. Se le Calabrie del ‘900 erano tinteggiate in verde e rosso (agricoltura ed industria), oggi prevalgono il marrone ed il giallo (terziario privato e pubblica amministrazione). Si può dire che siamo di fronte ad un mutamento che si è registrato in tutto il mondo occidentale […] ma le Calabrie hanno fatto registrare un mutamento specifico che non si riscontra in altre regioni di’Italia esclusa forse la Sardegna.

Agli inizi del secolo scorso l’80% della popolazione era impegnata in attività agricole e proto industriali. Nelle aree interne erano particolarmente diffuse le attività semindustriali ed artigianali ed i pochi centri urbani superiori ai 10.000 abitanti vivevano in gran parte delle risorse di queste zone interne. Meno del 10% della popolazione era assorbita dalla pubblica amministrazione, e poco più di questa percentuale nelle attività del terziario privato (commercio e trasporti soprattutto).

Alla fine del secolo il quadro è rovesciato: quasi il 34% degli occupati è assorbito dalla pubblica amministrazione e quasi il 40% dal terziario privato. Le attività agricole, se si fa eccezione per la piana di Sibari e quella di Gioia Tauro, sono attività residuali che prevalgono nelle aree interne solo perché gli altri settori sono scomparsi e non sono state create altre attività. Quando si parla tanto oggi di valorizzazione delle risorse locali spesso si dimentica che queste attività erano fiorenti e diffuse in tutto il territorio delle Calabrie. Chi potrebbe immaginare che un paese come Platì, noto alla cronaca nera per il degrado sociale e l’organizzazione criminale, ha avuto fino agli anni ’60 del secolo scorso ben tre fabbriche malgrado la carenza di infrastrutture e di capitali? E gli esempi possono essere tanti e ci dicono tutti una sola cosa: la vecchia Calabria non era solo una terra povera basata sul latifondo ed un’agricoltura di sussistenza, ma era anche una terra ricca di saperi e valori , di attività produttive collegate con le risorse locali. Tutto questo è stato distrutto dal modello di sviluppo capitalistico prevalente. […]

Ma, il nuovo che è nato dal vecchio sistema di disfacimento del potere, è stato determinato , da una parte, dalla fuga di quasi 2 milioni di calabresi, dall’altra dai trasferimenti dello stato. Il risultato è quello che conosciamo tutti: al sistema di potere dell’aristocrazia del latifondo è subentrato quello della borghesia criminale e della borghesia di stato (classe politica e dirigenti pubblici) […].

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Il grande impatto: dai mercati locali al mercato mondiale.

All’inizio del ‘900 la gran parte della Calabrie viveva delle sue risorse, con scarsi flussi di import-export, con la prevalenza di mercati locali basati sui meccanismi e riti sociali del dono/reciprocità, tirare sul prezzo, rispetto ed amicizia strumentale.

Lo stato nazionale ha avuto il ruolo propulsore nel processo di modernizzazione /apertura/omologazione del territorio calabrese. Attraverso la costruzione di strade, scuole, distribuzione di energia elettrica, in un ventennio il territorio calabrese si è aperto, fisicamente e culturalmente, all’esterno con vantaggi e svantaggi noti. […]

In un lasso di tempo relativamente breve là dove – come scriveva Corrado Alvaro – non si conosceva l’uso della ruota sono arrivati le auto, gli elettrodomestici e tutti i beni della società dei consumi. I calabresi sono entrati velocemente nel processo di occidentalizzazione, senza riuscire a creare una risposta, una mediazione tra locale e globale. Le strutture produttive locali sono crollate,   i mercati locali sono diventati mercati marginali, e la bilancia commerciale della Calabria ha cominciato ad andare in rosso , con una crescente importazione di tutte le merci dall’esterno a fronte di una caduta dell’export nei settori tradizionali. […]

La debole risposta locale ha favorito un processo di mercificazione selvaggio, che ha divorato il patrimonio naturale e culturale che ha relegato questa terra al rango di regione assistita. Globalizzazione, economia di rapina ed economia criminale, si sono intrecciati provocando un degrado crescente che ha inciso, in vario modo, sull’insieme del territorio calabrese.

 

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(fine prima parte)

 

 

 

“ERESIE MERIDIONALI”